mercoledì 2 marzo 2016

Una donna al Giro d’Italia: intervista con Eugenio Sideri, autore del monologo Finisce per A.

Incontro Sideri, anzi Eugenio, o meglio ancora per me che lo conosco da anni Euge, nei camerini del teatro Rasi di Ravenna.

Eugenio, vuoi cominciare col dirmi quando hai scritto il monologo Finisce per A?
Circa cinque, sei anni fa direi… cinque per la precisione.
Perché il titolo Finisce per A?
È legato a un aneddoto realmente accaduto ad Alfonsina Strada, personaggio protagonista del monologo, che fu iscritta al Giro d’Italia come Alfonsin Strada. Ora, perché manca quella “A”? Un refuso? Un errore commesso di proposito in un periodo in cui ci si vergognava di iscrivere una donna a una corsa maschile in un mondo al maschile? Fatto sta che ho immaginato Alfonsina reclamare il proprio nome al femminile, la propria femminilità, AlfonsinA, finisce per A, non ve lo dimenticate, sembra dire.
È stato faticoso per te, da uomo, calarti nei panni di una donna, e di una generazione che non ti appartiene?
No, ma non perché io sia andato a cercare quella parte femminile che è in me; semplicemente perché il personaggio di Alfonsina si offre per quello che è: una donna che ha una terribile volontà e vuole correre in bicicletta. Per cui la mia preoccupazione non è stata tanto quella di pensare “come una donna”, ma come una persona, uomo o donna che fosse, che vuole realizzare il proprio sogno; nel caso di Alfonsina prendere la bicicletta e pedalare, per ore e ore, sfidando la fatica fisica ma anche e soprattutto i pregiudizi feroci dell’epoca, le offese e le ingiurie che la raggiungevano durante la corsa.

Quindi personaggio sportivo sì, ma prima di tutto persona, essere umano?
Sì, una persona che lotta e combatte per raggiungere il proprio obiettivo, a prescindere dal sesso.
Da dove è nata l’idea di scrivere la storia di Alfonsina?
L’idea devo dire che è nata all’interprete, Patrizia Bollini, che si è innamorata di questa figura bellissima, coinvolgendo e facendo innamorare anche me e il regista Gabriele Tesauri.
A te per che cosa ti ha fatto innamorare?
Perché Alfonsina combatte una battaglia al femminile senza essere femminista; è una donna ignorante, non ha studiato, per cui non accampa rivendicazioni di carattere politico; semplicemente ama la bicicletta e vuole andare in bicicletta. Combatte una battaglia al femminile senza bisogno di dichiararla, semplicemente “facendo”, agendo.
La storia di Alfonsina risale al maggio del 1924?
Sì, ed è per questo che è ancora, come dicevo prima, più forte e di grande impatto emotivo.
Impatto emotivo sul pubblico secondo te maggiore o minore di una storia al maschile?
Posso dirti che sono quattro anni che raccogliamo consensi e successi. È una storia che piace, e anche - lo devo dire - per come la raccontiamo noi, ma né più né meno di una storia al maschile, perché è la storia di una volontà molto precisa, molto forte; di una bella persona che oltre alla forza di volontà ha in sé anche una grande umanità, perché si prende cura per tutta la vita di una nipote, che oltretutto la gente indicava come sua figlia segreta, ma lei lascia dire, non si cura delle maldicenze e va avanti in silenzio.
Bene, mi preparo a vedere questa grande Alfonsina…
Alfonsina Morini, sposata Strada, che va ad abitare a Bologna in Via delle Ruote!
Era proprio un destino il suo!
Sì, un destino scritto nel nome.

Susy De Crescenzo

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