mercoledì 2 marzo 2016

Musica, dialetto, ruggine: intervista a Roberto Magnani

Il teatro è musica, il corpo è musica, la scena è musica. L’opera d’arte non deve necessariamente essere spiegata o capita ma “sentita”. Questa la mia reazione a E’ bal, una pièce di Nevio Spadoni allestita da Roberto Magnani del Teatro delle Albe con il musicista Simone Marzocchi nel piccolo spazio del VulKano, a San Bartolo, fuori Ravenna. Trascrivo l’intervista dopo averlo visto: Roberto è bravissimo!

Ciao Roberto quanto dura lo spettacolo?
È la prima domanda che faccio sempre anch’io, lo spettacolo dura 40 minuti.
Sei l’unico protagonista della storia o c’è qualcuno che ti affianca?
In scena non sono l’unico protagonista, siamo in due io e Simone Marzocchi colui che ha realizzato le musiche e ha inventato degli strumenti che costituiscono anche lo spazio scenico. Inoltre io interpreto due personaggi diversi: il narratore ed Ezia, la protagonista, una donna che vive nelle campagne romagnole.
Quindi interpreti anche un ruolo femminile?
Come diceva Groucho Marx gli uomini sono donne come tutte le altre.
Quindi lavori con un personaggio che è di genere diverso dal tuo?
Sì, ma non è uno spettacolo en travesti.
Quindi come si passa dal narratore a Ezia la protagonista?
Il personaggio femminile viene evocato tramite un escamotage teatrale, “illuminotecnico” direi, e attraverso un cambio di timbro vocale.
Il titolo E’ bal cosa significa?
Significa il ballo. Lo spettacolo è in dialetto romagnolo. Il titolo originale era E’ bal dal tet ma io ho chiesto all’autore di poterlo tagliare in E’ bal, era molto più bello, suonava meglio, poi ieri ho scoperto che è l’anagramma di Albe (compagnia teatrale di cui l’attore fa parte, ndr).
Perché questo titolo?
E’ bal è la storia di Ezia, una donna derisa dall’intero paese perché è strana (quale donna non lo è?, ndr). Risponde male, su di lei ci sono dicerie, si dice sia frutto della relazione tra sua madre che viene chiamata la “fregna” e il prete del paese. Ha avuto una storia d’amore importante che durava da sette anni con un uomo che improvvisamente la lascia per un’altra donna. Ed allora Ezia comincia a camminare alla ricerca di un altro uomo e il suo incedere… il suo modo di muovere seno sedere testa è simile a una danza. Ezia ha 36 anni (circa la mia età), ha un fisico esplosivo. Col passare del tempo però le sue fattezze si afflosciano, lei invecchia, e questo ballo diventa quasi anacronistico, anche perché contemporaneamente al decadimento fisico avviene anche un decadimento mentale: Ezia comincia ad avere allucinazioni, e a ricordare quasi ossessivamente il luogo di incontro di questo suo grande amore…
L’argomento quindi è la solitudine di una donna che vive in un piccolo paese?
A un primo livello sì, ma c’è questa connessione tra il narratore e la protagonista… la storia parla della fine di un amore e della solitudine che può vivere anche un uomo.
Parlaci degli strumenti strani che costituiscono lo spazio scenico.
La natura del poemetto di Nevio Spadoni è estremamente musicale perché è in rima, quindi ho subito pensato di lavorare insieme a Simone Marzocchi, un giovane musicista con il quale io e il Teatro delle Albe collaboriamo da diversi anni sia all’interno della “non scuola”, dove l’ho coinvolto in diversi progetti, sia in alcuni spettacoli del Teatro delle Albe. Simone è un compositore musicista diplomato in tromba che porta avanti un percorso di ricerca musicale sul linguaggio informale della musica. Partendo da una frase di Ermanna Montanari che alcuni anni fa definiva il dialetto come una lingua di ferro, la voce di Ezia ci sembrava di “ruggine”. Io e Simone abbiamo pensato di lavorare intorno al suono prodotto dal ferro e dalla ruggine. Oltre alla tromba, che è un ottone, abbiamo inventato altri strumenti che sono sul palco: una grande lastra di metallo che strisciandoci sopra un chiodo arrugginito produce un suono che ricorda la musica elettronica; una grande sega di metallo sospesa sul palco che viene suonata e percossa; infine da una vecchia Singer a pedale abbiamo costruito una specie di gironda che fa vibrare una corda di metallo che produce anch’essa un suono che sembra elettronico, creando contrasto tra l’antico dialetto e la musica moderna.
Che tipo di dialetto romagnolo usate?
Quello che viene parlato è il dialetto delle Ville Unite (Campiano, Castiglione di Ravenna, San Pietro in Vincoli, San Pietro in Campiano, Santo Stefano e altre), è il dialetto di Ermanna Montanari. Gli studiosi che si sono interessati del dialetto romagnolo hanno visto che le parlate variano da un paese all’altro ma in queste zone si utilizza un dialetto meno contaminato di quello della città.
Perché la scelta di recitare in dialetto?
Venendo dalle Albe vuol dire essere coerente con un percorso che i miei fratelli maggiori e i miei maestri hanno tracciato prima di me e che mi hanno mostrato. Uno dei miei primi spettacoli fu L’isola di Alcina, sempre di Spadoni. Il mio esordio a teatro era ascoltare Ermanna che di questo dialetto faceva arte pura con uno spettacolo che ha girato il mondo fino a New York. Per lei quel dialetto è lingua madre. Per me no: appartengo a una generazione che lo sentiva parlare a casa. Attraverso il teatro di Ermanna e leggendo Raffaello Baldini, Nevio Spadoni, Walter Galli ho imparato l’importanza e le possibilità che ha questa lingua. Sei anni fa ho recitato l’Odissea di Tonino Guerra per me è stato un lavoro fondamentale perché era la prima volta che ero da solo sulla scena. E quando magicamente Nevio Spadoni mi ha proposto questo lavoro mi sono impegnato nella sua realizzazione.
Quindi in questi giorni al VulKano è il debutto di E’ bal?
Lo spettacolo è stato visto in anteprima quest’estate per il festival “Corposamente” all’aperto. Questa edizione è stata pensata appositamente per quel luogo piccolo e raccolto.
Cosa riusciranno a capire  di E’ bal quelli che non conoscono il dialetto romagnolo? Ci sono i sopratitoli?
Non ci sono sopratitoli e parlo in dialetto strettissimo, la storia viene raccontata nel foglio di sala. La comprensione esatta della storia non è tra le cose cui aspiro; quello che importa è il carattere musicale dell’opera: il teatro non va necessariamente capito… Non esiste solo il linguaggio verbale: anche la mimica e il movimento ci aiutano nella comprensione del testo.


Manuela Graziani

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